(2012) Fine Before You Came - Ormai
Può sembrere inappropriato iniziare la recensione di un disco facendo immediato riferimento ad un altro album sebbene degli stessi autori, ma l'antefatto è essenziale per capire il presente; tre anni fa vede luce uno dei lavori più significativi della scena italiana, quello Sfortuna che invece risultò di ottimo auspicio per la band milanese dei Fine Before You Came, la quale si scrollava di dosso i primi manieristici tentativi post/emo/core e trovava finalmente una formula vincente, viva e sanguinante - metafora quella ematica che trovò d'accordo tutta la critica all'epoca.
Ormai almeno per intenti non poteva allontanarsi troppo dal suo predecessore, e così è: la ferita è ancora aperta, la prognosi ancora lunga ma è iniziato il processo di accettazione del dolore - se ne ha prova diretta nel cambio di tematica, prima narratrice di separazione sentimentale intuibilmente fresca ed acciecante, ora più esistenziale e matura.
La scelta del volgare rispetto all'idioma di Albione premia ancora una volta la produzione dei ragazzi meneghini, che neanche a farlo apposta esordiscono dichiarando di non gradire Dublino; è poi la volta di Sasso, già presentata live nel tour dello scorso anno, per poi arrivare all'eloquente Magone, che attinge ai temi del precariato industriale tipicamente emiliani e chiude con un dissacrante finale alla Dente ("ti porto al cinema stasera // ma paghi tu // che io non ho un lavoro"). Il brano successivo (Per non esser pipistrelli) è ulteriormente ermetico, e tale caratteristica appare ancora più spiccata in Paese, degna davvero di Ungaretti almeno per sentimento. Ironia della sorte, questo pezzo ha linee melodiche e soluzioni ritmiche alla loro bellissima Natale (da Sfortuna), che condivide il titolo con un celebre componimento del poeta.
Non si ha la pretesa di paragonare l'opera del gruppo con quella del maestro, bensì di apprezzare la sincerità e la capacità espressiva di cui entrambi sono dotati, e di produrre encomio proporzionale; la speranza viene definitivamente cancellata nei due capitoli finali del disco, Capire Settembre e La domenica c'è il mercato, in cui rispettivamente autunno e nostalgico distacco rifuggono l'incedere euforico prodotto dai loro arrangiamenti, sempre ordinati e rigorosi nei loro crescendo; se è vero che certo dolore è stato già cantato con successo in veste screamo (come non ricordare La Quiete) i FBYC continuano fieri della matrice math-rock di alcune loro influenze. Alle scelte vocali sicuramente peculiari fa eco un'eccellente tecnica individuale, elemento questo assai gradito al momento di pronunciare una più che positiva valutazione di questa fatica in studio.
Pretendere un'ulteriore rivoluzione nei loro stilemi sarebbe stata richiesta esosa, così Oramai risulta forse fin troppo figlio del precedente almeno a livello musicale, ostentando certamente più cura nella produzione per la durata dei sette brani proposti: brani che crescono dentro, che ognuno recepisce ed assimila in base a quanto vissuto, in base ai lividi che inavvertitamente o meno colpiscono. Ancora una volta complimenti sinceri a questi ragazzi che ci mettono la faccia, il cuore, e che per accedere alla propria musica non chiedono altro che si diffonda la medesima dopo averla prelevata gratuitamente dal loro sito; guai invece a non tributare riconoscimento pecuniario in sede live, dimensione della quale si attendono con ansia informazioni concrete.
Diteci ancora qualcosa che ci scaldi, che fuori splende il sole e qui fa un freddo cane.
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