(1983) The Danse Society - Heaven Is Waiting
Non credo vi sia decennio più ricco di rarità e di materiale oscuro degli anni '80, vuoi per reperibilità del materiale, vuoi per suono effettivo dello stesso: tra i molti gruppi che non hanno (ancora) subito il meritato processo di recuperto vi sono gli ottimi Danse Society, manco a dirlo anche loro figli dell'Inghilterra industriale di Manchester e dello Yorkshire (Barnsley per la precisione): attivi dal 1980 al 1987, si sono riformati nel 2011 sebbene con formazione diversa rispetto all'originale.
Molti rifuggono come la peste le incursioni delle tastiere nel post-punk, altri invece le ritengono un valore aggiunto: lontano da considerazioni utili solo a sacrificare buona musica in onore di un mai del tutto compreso orgoglio musicologico, a mio avviso figlio dell'incapacità di imbracciare un qualsivoglia strumento, definisco senza esitazione questo disco come capolavoro assoluto, migliore anche del fortunato Seduction, edito l'anno precedente. Appurato che in questo mondo si è tutti figli più o meno legittimi di Curtis e compagni, qui abbiamo traccia evidente di altro genoma contemporaneo, dalle liriche ariose dei Sad Lovers and Giants a certo graffio dei The Sound, dai tappeti sognanti dei Chameleons alle tinte gotiche di Siouxie and the Banshees e dei Bauhaus, e pure a certe chitarre del caro Robin Guthrie con i suoi Cocteau Twins.
Si apre in maniera esplicita e sospesa con Come Inside, brano degno di far compagnia a Prayers for Rain o Fascination Street da Disintegration (1989, dei Cure), per poi vedere alternanza di cifra quadrata e sintetica (Wake Up, Angel, Red Light, Heaven Is Waiting) e più malinconica (Where Are You Now?, The Hurt, Valiant to Vile, The Night) - inutile parlare in dettaglio delle singole tracce quando esse sono tutte di qualità massima e degne di attenzione totale. I momenti più euforici influenzeranno in maniera evidente (non so quanto dichiarata) tante band successive, su tutti Sisters of Mercy e Clan of Xymox, pur senza sconfinare in sterili stilemi dello stesso periodo.
Forse il loro merito più grande risiede proprio nell'impossibilità di essere intrappolati in questa o quella corrente: per quanto l'ambito di appartenenza complessivo sia ben definito, e per quanto un primo pigro ascolto li relega ad emuli di tanti altri gruppi dello stesso tempo, ogni tentativo di reclusione è vano perché ogni canzone è ricca di elementi che la rendono speciale, su tutti quella The Theme non presente nella prima stampa del disco, che si erge ad apice di tutta la loro produzione: solenne, magnifica, priva di parole e pregna di messaggio, mi piace immaginarla sorella di View from a Hill, epilogo del capolavoro di Burgess (Script of the Bridge, 1983), vuoi per estensione temporale, vuoi per sentimento ed atmosfera.
C'è chi fugge dalla minimal wave perché sacrifica il sostrato chitarristico in onore di tastiere ingombranti e tediose drum-machine, chi non regge certo post-punk perché troppo frenetico e privo di ordine, chi ancora non riesce a farsi trasportare appieno dal gothic rock perché troppo oscuro e pervaso da temi relativamente meno esistenziali e troppo evocativi: sfido apertamente chiunque a trovare un territorio condiviso più mirabile e gradito di Heaven Is Waiting, perla assoluta della sua epoca e manifesto di estetica musicale.
Parlare di musica simile in fondo, ed in sede scritta per di più, è una contraddizione in termini di intenti: essa va vissuta, subita, a lei va concesso di travolgerci e di annichilirci come meglio crede, per poi svegliarci con un senso remoto di incompleta comprensione, pronto a spingerci verso una nuova esperienza artistica sotto l'egida irrequieta di Dioniso.
Fatevi un regalo: smettete di legger queste chiacchere ed andate a cercare i Danse Society, adesso.