Lily.

Lily.

Alfons Mucha - Lily (From The Flowers Series), 1898 (dettaglio, processato)

Frascati, 16 luglio 2017

Sono a San Rocco, ascolto Miserable Lie degli Smiths. Tra poco andrò a Roma a trovare Brigida, mia fidanzata quattro anni fa, che avevo convinto a seguirmi a Berlino seppur per breve periodo. Scusa Brigida. San Rocco invece è un posto pieno di energia particolare, di gente più o meno bella, che ho frequentato assai meno di quanto avrei voluto causa mancanza di autovettura.

Ci ho sempre fatto incontri casuali e piacevoli qui dall'alto del muretto, guardando a valle verso la città eterna e a monte verso il palazzo che domina la piazza. Poco dietro, sul lato sinistro del palazzo, vi è un'altra piazzetta su cui si affaccia il Pibroch, birreria storica del paese sempre in lotta coi vicini che subiscono quotidianamente gli ilari schiamazzi degli avventori notturni. Ci sono stato proprio l'altra sera con un paio di amici dell'uni, gli unici ad aver risposto al mio appello di visitante capitolino. Nel corso della serata, tra una risata sguaiata e l'altra in memoria degli anni di studio condivisi, ho scorto una ragazza carina. Che dico, una ragazza proprio bella. All'impilarsi dei bicchieri vuoti le altre si facevano sempre più piccole, finché quel cigno maestoso non ebbe finito per scrollarsi di dosso tutte le formiche che le brulicavano attorno.

Toh, guarda che capigliatura inusuale! - ho fatto a più riprese alla mia amica Rebecca. Portava i capelli corti, color dei lillà. Come la tipa del mio quartiere che gira col cane brutto e mi sorride quando suono al parco.

L'ho guardata negli occhi, lei ha fatto altrettanto, almeno credo. Avrei voluto presentarmi ma l'incontro con un vecchio amico me l'ha portata via. Mi ha fatto un sacco piacere riicontrare il mio amico, quindi non me la son presa più di tanto. Mi ronzava ancora in testa quel bel faccino però, e ieri le ho scritto un biglietto per dirle che avrei voluto conoscerla e suonare una canzone per lei. Ho dovuto gettar via un paio di bozze, una perché troppo ridicola - e non ve la riferirò -, l'altra perché avevo scritto male il mio recapito. Ho appena appeso la terza e definitiva versione al fianco della porta del Pibroch. Non lo leggerà mai tanto, ma l'idea che qualcuno noti la mia ingenua e fiera testimonianza di moderno romanticismo mi fa sentire vivo.

Questo viaggio mi fa sentir vivo e mi protegge. Mi permette di starmene sereno tra i miei affetti, suonando in camera mia diviso tra il pianoforte scordato che è ancora là, e le chitarre di mio padre che mai ho avuto troppa voglia di toccare. Come avrei dovuto fare vent'anni fa se qualcuno mi avesse regalato Meat is Murder per dire. Mica c'è poco da dire riguardo questo viaggio. La riscoperta della natura, le lunghe passeggiate al lago, i tuffi nelle sue acque finalmente placide e limpide. Il compleanno di mia madre, che ho visitato senza preavviso per sua somma gioia, la sua impermeabilità allo scorrere del tempo. Il concorso per magistratura del mio migliore amico Gian Matteo, che dividerà in due la sua vita a prescindere dall'esito. Ritrovare Giulia al termine della sua avventura iberica e meditare di raccoglierne il testimone migrando nella penisola da cui proviene metà del mio sangue. Incontrare Piera, un sole che attende di generare un'altra stella.

Questi luoghi respirano dentro di me, talvolta affannosamente. Ora sono qui a San Rocco, metà al sole metà all'ombra, accarezzato dal tiepido vento estivo che mi decido tra Izzo e D. H. Lawrence, dopo che avrò chiuso questo diario. Avrei dovuto portare la chitarra, ma era una bella sbatta recarsela dietro a Roma poi, con il caldo. Tutto è sbatta, e vorrei sbattermene di meno. Non so dove abiterò alla fine di quest'anno. Ovunque mi trovi, spero di aver imparato a suonare This Charming Man come il fottuto Johhny Marr, possibilmente anche meglio.

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Castel Gandolfo, 19 luglio 2017

Tra dodici ore sarò a Berlino. Tra dodici ore tornerò alle nevrosi che questo viaggio ai Castelli aveva obiettivo di lenire e tener lontane. Ci ero quasi riuscito, mancavano solo un paio di giorni. Ed eccotela lì, la nevrosi massima, la tensione regina, il livore estremo che rode e consuma. Il ritorno al vuoto. Al nulla. Al collasso dell'esistenza esterna, quale successione di eventi che rincorrono se stessi. Come Twin Peaks S03E08, per i contemporanei.

Domenica pomeriggio ho appeso il cartello per Lily al Pibroch. Era un gesto puro che mi faceva notare al mondo e mi aveva fatto star bene soprattutto. Chissà che avranno pensato quelli del locale ed i passanti in questi due giorni. Lunedì pomeriggio ha fatto un caldo bestia. Ho guardato Twin Peaks S03E08, ho lasciato che l'icore di tale opera scivolasse in me e sono caduto in un sonno senza sogni, cullato da Nara Leao. Nara canta la bossa nova, in maniera più intensa e meno naïve di come lo fa Astrud Gilberto. Sto imparando la bossa in queste settimane. Ritmo e accordi, con le dita che si ammucchiano nello spazio angusto di due tasti.

È stato un sonno spossante e poco riparatore. A ridosso dell'ora decimonona, ancora nel dormiveglia, arriva una mail dal mittente sconosciuto.

Ciao, mi sono rivista nella descrizione del biglietto al Pibroch. È stato un gesto molto dolce il tuo, non mi ricordo di te ma possiamo vederci una sera di queste se vuoi. Ah, mi chiamo F.

Cristo. Lily. L'eroina. The spike into my vein, the blood begins to flow. L'apice dell'esistenza, il peggio che passa. Pensare che il peggio sia già alle proprie spalle è l'idea più inutile, stupida e deleteria si possa abbracciare. Io ci casco sempre, ci limono duro con tale idea.

Lily.
Sarà lei?

Controllo l'intestazione della mail, è genuina e non è uno scherzo. Sì, so fare queste cose, non è difficile. Cerco per curiosità nome e cognome, dalle foto è proprio lei. Rispondo immediatamente ringraziandola e dicendole che di lì a due giorni avrei fatto ritorno a Berlino. Sette ore da adesso. La sera stessa non può, dice che in genere si libera dopo le diciannove. Non rimaniamo d'accordo per l'indomani perché al mio invito non segue risposta. Stamane decido che sarei andato comunque a Frascati, luogo dove l'ho vista e dove presumo abiti, in modo da guadagnare tempo in caso di tardiva risposta.

Mi preparo di corsa nel pomeriggio. Mi porto da leggere, da scrivere. FANCULO LA LETTERATURA, prendo la chitarra. Le avevo promesso una canzone, e canzone sarà. Non trovo la custodia dello strumento, la porto in mano prendendola per il collo come un cappone. Sembro uno che ci sta dentro, un duro delle sei corde. Sono vestito come venerdì scorso, prendo l'autobus. A Castel Gandolfo passano due linee di trasporto, una diretta a Roma ed una a Frascati. Domenica pomeriggio avevo preso quella sbagliata, pur consapevolmente. Una scelta apparentemente senza senso, ma funzionale alla conservazione della serenità: niente biglietto per Lily, niente patemi. Ero sceso dalla vettura sbagliata appena un paio di fermate dopo, sufficienti però a giudicare incolmabile la distanza tra me e la fermata ove l'autobus giusto che arrivava spedito dal fondo della via si sarebbe fermato di lì a pochi secondi. Addio Lily.

La vettura mi affianca, sento il suo sorpasso tagliare in due la mia inettitudine. Senza che io avessi fatto cenno alcuno né avessi tantomeno affrettato il passo però, il bus si ferma. Il conducente apre la porta, mi fa cenno di salire. Non c'è nessun altro oltre a noi due. Stringo il mio destino nel pugno sinistro, ed una lancia simbolo di invincibilità in quello destro. Vedo Lily seduta in fondo, la bacio in quella corriera dorata, in quel carro parmenideo, in quel vettore di sogni diretto alla dimora del manoscritto Voynich, del comune che ospitò il confratello John William Waterhouse in tenera età. Credo il peggio sia passato.

Stavolta prendo l'autobus giusto al primo colpo. Arrivo a Frascati, arrivo a San Rocco. La gente mi guarda di sottecchi, trova strano giri con quell'arnese in mano. Mica è come a Berlino qua. Perlustro la piazza, non c'è un cane, o meglio non c'è un fiore. Nessuna traccia floreale neanche al Pibroch, nemmeno il biglietto è più lì. Ce l'avrà lei? Che importa, oramai. Lei non scrive. Le avevo fatto ultima menzione della mia presenza sino alle dieci, qualora avesse voluto farsi viva. Vado in villa, almeno posso suonare un po'. Diamine ho lasciato il plettro leggero a casa, odio suonare con gli altri, sono troppo grezzi. Ci ho stile, io.

Se la gente a Berlino è freddina quando suoni, qui non viene minimanete scalfita dall'attività rapsodica, ne risulta infastidita o morbosamente incuriosita al massimo. Non credo suonerò molte altre volte in pubblico ai Castelli, se non dietro lauto compenso. Passano un sacco di macchine dietro di me poi, non sento mica bene. Sono quasi le nove, Lily non scrive. Ermetica lei. Mi avvio all'uscita della villa, chiusa. Visito anche le altre uscite, serrate a chiave. Lily verrà a prendermi, ci baceremo dietro le sbarre e il nostro amore novello le ridurrà a liane secche costrette al suolo, e lei potrà infine raggiungermi in quel giardino di erba e di note e di lunghi baci scambiati al bordo della candida fontana.

Lily non scrive, Lily non viene ed io sono in trappola. Dei ragazzini coi capelli tagliati alla moda mi indicano due sbarre leggermente divaricate all'angolo del parco. Capiscono io sia uno straniero perché non conosco il trucco delle sbarre della villa. La divaricazione è davvero impercettibile e permette ad un individuo adulto molto magro di passare, possibilmente senza strumenti a corde a corredo. Mi sento come in Zelda, sono un Link meticcio e bruno che prova la fuga da una delle fortezze di Hyrule. Un ragazzo mi tiene la chitarra mentre contraggo il torace badando che i bottoni della camicia non si schiantino contro le sbarre, e me la rende una volta fuori da quel parco hyruliano del cazzo. Che lo chiuderanno a fare!

Rieccomi in piazza. Scandaglio gli orari dei pulmann per tornare a casa. Ultimo, ore 21:10. Sono le ventuno spaccate, ultimo giro a S. Rocco. Niente fiori, è un puro caso di criptobotanica questo. Via del ritorno, nove e cinque. Il cameriere di un ristorante mi bracca:

– Eccolo con la chitarra mitico! Che ce soni? Che ce canti?
– Eh, non so mica cantare bene.
– E io che ce sto a fa' qua? Canto io! Che ce soni allora?

Penso per qualche secondo a cosa ribattere. Penso al senso delle ultime settantadue ore, non ne scorgo alcuno. Potrei dirgli che Lily non scrive, ecco, ma preferisco rispondere che sono di fretta e che sarei tornato nei giorni a venire. Mento, tra sei ore sono in volo per Berlino. Arrivo in piazza, l'ultimo autobus mi sgomma davanti. Il peggio è passato. Non voglio più aspettare nessuno. In nessun momento ho immaginato un epilogo diverso da questo, eppure ho preferito esser testimone e vittima della sua realizzazione, ad un comodo saluto di persona ai miei amici, seppur insidiato da floreale illusione.

Dieci chilometri mi separano da casa. Come da Neukölln a Prenzlauer Berg, quando ero uscito con Katri. Dentino mio bello, come stai? Ti penso ancora sai. Percorro quel quarto di maratona senza messaggi da consegnare né da ricevere. Parlo da solo, in tedesco. Preparo il racconto che riferirò a Sebastian non appena ci rivedremo. Parliamo parecchio di passera col Sebas. Io parlo pressoché solo di passera immaginaria, con chiunque. Anche col poster di Johnny fucking Marr che ho appeso alla porta.

– Johnny how do you do? Chi te stai a scopa' ultimamente?
– Sono uscito con una tipa un par di giorni fa. Bel viso, bel culo. Due birre e volevo sposarla. Limoniamo un po'. Terza birra, mi viene in mente un riff de cristo e la sfanculo. Senti qua che roba, waaaaaah wueiiiiiahh wiiiiiiieeheei!
– Cristo Marr, ripigliati.
WHUUEEEEIEEIEIAHAHAHAHEEEI

Lily, non sono mica arrabbiato con te. Avrei fatto lo stesso al posto tuo. Mai avrei dato spago ad un folle che ti cerca in tal modo. Cioè, io in quanto me medesimo sì, ovvio, ma non in quanto giovane e bella ragazza dei Castelli Romani cresciuta all'ombra dei pini marittimi.

Lily ce l'ho con me, perché in un viaggio da cui sarei dovuto ritornare calmo e lontano dalla solita caccia all'emozione vittoriana, mi ritrovo stremato nel mio letto posticcio, a cinque ore e mezza da un risveglio forzato e necessario per prendere il fottuto aereo in tempo, a scrivere del perché non sono nel tuo letto stabile con te, ad immaginarmi di che colori sono davvero i tuoi capelli mentre li accarezzo, con te che mi dici che sono proprio così dalla nascita, zittendomi con un bacio che diventa subito sorriso e poi bacio ancora, e poi linguaccia e poi giravolta per andar a colmare di nuovo i bicchieri di quel vino buono che mai berrò in tua compagnia.

Sono a Grottaferrata quasi. Costeggio il Gaelic. Dio quante serate al gallico, quanti anni, quante Tennent's. Due pinte a sera almeno, per tutta l'estate. Vomiterei al solo odore, adesso. Marino, prendo una strada senza uscita, in discesa. Con la chitarra. So che è senza uscita, giro intorno ad un palazzo. Lily, non scrivi. Scendo per trovare infine il muro ultimo che chiude il parcheggio. Sapevo ci avrei sbattuto contro, così come sapevo sarebbe andata tutta questa storia. Volevo vederlo in faccia quel muro, ecco. Morire sarebbe più celere e meno faticoso che tornare a monte, accarezzo l'idea. Vorrei accarezzare te Lily, ma non ci sei. Sarebbe stato coerente in fondo, ci sono nato a Marino e ci sarei morto.

Riguadagno la via maestra, lascio Marino alle spalle. Lascio il peggio alle spalle. Via dei Laghi. Sarei potuto andare al lago stasera magari, portare la chitarra, scrivere una bella canzone per te sugli scogli e cantarla per la prima volta alle papere che ogni sera mi sono venute a salutare alle sette e mezza spaccate, alla caletta dell'alberone. Avevo misurato il tempo in base al loro arrivo, di solito sloggiavo per le papere e mezza, papere e tre quarti massimo.

Villa Svizzera, il braccio che porta la chitarra da un'ora e mezza è intirizzito. Cambio e porto la croce con l'altro. Castel Gandolfo, la curva del lago dove il bus giusto si era fermato per me domenica, guidato da Mefistofele in persona. Non mi chiedo più dove tu sia Lily, voglio solo tornare a casa. La fontana alla fine della salita. Ha due cannelle, una con su scritto Acqua non potabile e l'altra semplicemente Non potabile. Puoi scegliere di che morte morire. Io di morte lenta, per delle idee. Del cazzo come quella avuta stasera. Ficco la testa sotto quella Non potabile. In quell'istante un'auto accosta al mio fianco, mentre la chitarra è in equilibrio precario sotto le dita della mano sinistra. Non cade per miracolo. Scendo per via Ercolano. Mi apro del tutto la camicia, la chitarra è un machete. Falcio gli sguardi di chi guida in direzione contraria mentre li incrocio. Un'ora e tre quarti di cammino, diecimila metri, il peggio è passato.

Tra cinque ore sono in piedi, tra circa otto sarò a Berlino. È stata un'emozione piccola ed autentica, e di questo ti sono grato Lily, che tu esista o meno. Suonerò quella canzone per te con un rametto di lillà tra i denti, con lo sguardo rivolto a San Rocco, patrono di tutti i bukowski bucolici come me.