(1994) 713avo Amor - Errores Varios de la Estupidez Actual
Dagli anfratti più remoti dell'underground iberico, dopo una prima prova chiamata A veces el dolor, nel 1994 i 713avo Amor scrivono uno dei dischi più significativi del decennio d'appartenenza, senza coscienza alcuna di aver raggiunto tale traguardo. Guidati dal prolifico Carlos Desastre, anima musicale e letteraria del gruppo, la formazione originaria di Malaga propone un lavoro di cui è davvero difficile inquadrare la cifra stilistica: liquidarlo come noise-rock figlio del tempo è il modo migliore per condannarlo all'oblio, l'approccio migliore risulta quindi quello della visione d'insieme, che mostra l'opera come una serie di racconti ora visionari ora verosimili, ora cantati o urlati ora narrati, ora brevissimi ora di un quarto d'ora, per un prodotto finale stupefacente.
L'ascolto del disco rappresenta un prima ed un dopo, data l'unicità della proposta: chi ha piena comprensione dei testi può respirare direttamente l'atmosfera ora di città corrotta ora di villaggio polveroso, la tradizione come prigione dell'anima e non come perpetuarsi di valori. Alcuni episodi sono invece momenti di transizione sospesi e torpidi, dove gli strumenti si limitano a produrre un tappeto di rumore, e la voce scandisce monotona instantanee totalmente surreali.
Ogni tanto c'è una spruzzata di rock urbano o di rock gitano, senza scadere nel cliché nazionale, nonché di post-hardcore con il germe del post-rock di matrice Slint: non a caso la cosa che più si avvicina a tale disco di cui si abbia memoria va ricercata nella prima produzione dei nostri Massimo Volume, forti anch'essi della formula declamazione + rock.
Le prime parole del disco sono "No hay musica" (non c'è musica): alla luce della distorsione onirica presente in esso, non costa fatica immaginarle vicine al "silencio, no hay banda" del capolavoro lynchiano (Mulholland Dr., 2001). Affini per tematica sono Tu cancion favorita ed El país de los sueños, dalle parole malate e già pronte ad insinuarsi nella mente di chi ascolta, dipingendo scenari fobici e recanti all'insania; feroce poi la critica alla televisione, sempre visto come oggetto di controllo secondo orwelliana memoria (La televisiòn no lo filma), nonché quella alla chiesa: En el bar de Dios è un'accusa efferata e sanguinante in una ballata tout court, uno dei pochi brani dalla forma canonica presenti nell'album.
Attenzione a parte va dedicata alla traccia di chiusura, Nos cambiaron por pistolas: brano più lungo del disco, narra la storia delle torture subite da due fratelli da parte di un vecchio porco locale, narrate da un terzo bambino riuscito a fuggire in tempo da tale inferno. La canzone vale da sola il prezzo del biglietto, evoca immagini vivide, promiscue e massimamente cruente di come i poveri ragazzini abbiano visto la propria vita dilaniata e venduta per una scommessa persa dal proprio genitore.
Essa è un disco nel disco, gli strumenti seguono la trama ed alternano momenti di volume totale ad abissi dinamici, pronti al prossimo violento assalto: la sensazione di rabbia ed impotenza cresce per tutto il racconto, e difficilmente si riesce a non covare il medesimo sentimento di vendetta tenuto dal superstite nei confronti del padre quando alla fine chiede impazzito perché avesse gettato via le loro vite in cambio di pistole e munizioni.
Ascoltato a tanti anni di distanza, Errores varios de la estupidez actual appare come un reperto misterioso e coperto di polvere, che sa emanare forte lo spirito del suo tempo, miracolosamente sia in termini assolutamente particolaristici, sia in termini universali. Fu l'ultimo capitolo per loro: Carlos Desastre migrò verso i Paesi Baschi e trovò fortuna in altri gruppi e progetti, e del gruppo andaluso restarono solo le due opere.
Chiunque creda che in Spagna non si sappia fare rock non sarà certamente smentito da un unicum della produzione iberica: è cosa certa però che se questo disco fosse stato scritto a Seattle o a Louisville, vedremmo parecchie felpe con un bambino ghermito da demoni in giro.