Shandon live 28/01/2012 @ Orion Club, Roma
Sarebbe davvero ipocrita scrivere degli Shandon in terza persona, in onore di un'imparzialità critica che risulta davvero fuori luogo al cospetto di un gruppo che mi travolse come forse nessun altro all'epoca, e che pur latitando negli ascolti degli ultimi anni, riesce sempre a colpirmi dritto al cuore, vuoi per arrangiamenti vuoi per testi.
Ricordo ancora la delusione nel non aver potuto presenziare alla tappa romana del Sixty-Nine tour nel 2004, resa ancora più profonda dal repentino scioglimento del gruppo, il quale mi avrebbe precluso di poter cantare a squarciagola i loro brani a ridosso del palco, forse per sempre; un barlume di speranza venne riposto nel progetto The Fire, più che valido ma che sacrificava certa carica adolescenziale in favore di influenze artistiche certamente più mature.
Sia chiaro: gli Shandon non sono un gruppetto liceale senza pretese, e l'ennesima riprova sono stati il calore ed il numero con cui la platea capitolina ha accolto il loro show, pur dopo 8 anni di iato; fan accaniti misti a reclute dell'ultim'ora, tutti evidentemente strenui sostenitori della formula che ha reso vincente il gruppo dalle origini di metà anni novanta, nelle quali si scorgeva commistione festaiola tra tutto l'universo ska/hardcore/punk/rockabilly/reggae, fino alla prova dichiaratamente popular di Sixty-Nine.
Alla notizia della reunion l'emozione è stata diretta e sincera - i fottuti Shandon tornano a suonare, e per giunta in quella che per tutto l'ultimo decennio del secolo scorso è stata una delle discoteche simbolo della scena trash-dance romana, da qualche mese rock club con scaletta d'eccezione finalmente: la rivincita è compiuta, e mi dirigo sul posto con massima aspettativa e nostalgia dell'epoca in cui li ascoltavo ancora su cassetta [!].
Il tempo passa, e loro sembrano farsi desiderare un po' troppo visto che raggiungono il palco solo alle 11 più che inoltrate: salgono tutti in kilt, con un volto nuovo ai fiati, e si parte subito forte con Time; avevo già spiato la pressoché perfetta setlist del concerto di Trezzo, qui seguita in maniera quasi identica per fortuna.
Avrò ascoltato sì e no mezz'ora di Shandon negli ultimi 7 anni, eppure mi ritrovo a sapere tutti i testi a memoria, ad esaltarmi su ogni fill o assolo, a prendere e dare un sacco di botte, a perdere la cognizione del tempo, a sperare che tale bolla dionisiaca dell'esistenza non scoppi mai e mi conservi sedicenne per sempre, ora che i trenta si avvicinano inesorabili; ogni citazione da Fetish [Ruvida, Placebo Effect, Egostasi, Deadlock, Liquido, Knightly Forest] è una ferita ancora lacera e mai rimarginata, ed io li lascio mordere. Si ricordano poi episodi lieti di Not so Happy to be Sad [Washin' Machine, Adondo, Sangue, Noir] e dell'ultimo disco in studio, eseguito pressoché per intero.
C'è spazio anche per momenti più intimi come My Friends in versione acustica o per ricordare persone che non ci sono più [Oceans]: sì, proprio quel brano che desideravo ogni volta scorresse veloce sul nastro per arrivare alla canzone che più profondamente conservo in me, che da sempre bramavo di ascoltare e vedere dal vivo, quella P.N.X. che ritengo la loro massima espressione di veemenza, estro artistico ed empatia, misti a un po' di cazzi miei senza i quali non si può di certo raggiungere l'ultima.
Non v'è riunione con amici di vecchia data che si rispetti senza un rito consueto, e quindi gli Shandon tornano sul palco per invitarci a dividerci a metà e saltare alla nostra sinistra, e noi eseguiamo obbedienti mentre loro ci salutano con Janet.
Grazie di cuore a loro per il concerto della madonna, e a chi me li ha fatti conoscere in tempi non sospetti: era davvero tanto che non mi sentivo così fottutamente vivo.